Daniele Calamita – “agronomo-sindacalista esperto di politiche sociali”

Non parlo spesso di musica e canzoni, preferisco parlare di temi sociali, di politica, di ambiente, di diritti, di lavoro e di tutto ciò che potrebbe smuovere riflessioni nelle coscienze di ognuno di noi, meglio ancora se le riflessioni si ampliano ad una sfera più ampia del Io e passa alla sfera del Noi. Ma mi incuriosisce l’attualità e lo spaccato che una canzone di denuncia del 1997, scritta dal padre dei rapper italiani Frankie HI-NGR MC: la canzone è “Quelli Che Benpensano”, che nella migliore delle tradizioni rapper denuncia condizioni e azioni già discutibili nel 1997.
Questa canzone di 24 anni fa denunciava un paese ove i benpensanti erano predominanti nel tessuto sociale e che dominavano i luoghi del potere economico, politico e sociale. Dopo 24 anni penso che la condizione non sia cambiata di molto, anzi, quel “perbenismo interessato” cantato anche da Francesco Guccini in “Dio è Morto”, anni prima, sia ancora predominante in questo modello di società.
Nella canzone vi sono delle strofe/frasi che indicano bene il modo di essere e di fare di molte persone; frasi che dovrebbero far riflettere.
Ecco le frasi più emblematiche:
“Sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi a far promesse senza mantenerle mai se non per calcolo. Il fine è solo l’utile, il mezzo ogni possibile la posta in gioco è massima, l’imperativo è vincere e non far partecipare nessun altro nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro, niente scrupoli o rispetto verso i propri simili perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili”….
Quanto è ancora vero? In queste frasi c’è un’immagine chiara di quello che ancora oggi avviene, la logica del “morte tua vita mia”; niente scrupoli o rispetto verso gli altri, perché, altrimenti è difficile mantenere i nostri privilegi, i nostri utili a scapito della generalità dei cittadini, consegnando ai nostri figli un mondo ingiusto basato sul frega il prossimo tuo. Perché gli ultimi saranno ultimi se i primi sono irraggiungibili.
“……Sono tanti, arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti, sono replicanti, sono tutti identici, guardali stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere……..Fanno quel che vogliono si sappia in giro fanno, spendono, spandono e sono quel che hanno……”
La rappresentazione reale di quello che ormai molti di noi sono diventati, il consumismo sfrenato, il costruirci ed indossare maschere nei confronti degli altri e spesso anche di noi stessi, l’idea che la felicità è fatta ed è retta esclusivamente sul Dio denaro a tal punto da ritenere le persone meno abbienti non degne della nostra stessa dignità, gente da escludere, da isolare, non degni di cittadinanza. Quanto sono veri questi concetti? cosa facciamo tutti noi verso i poveri? quanti traducono in realtà i dettami religiosi? il porgi l’altra guancia che fine ha fatto? Penso che stiamo perdendo di vista i capisaldi valoriali della nostra società civile e chi pagherà le conseguenze vere di questa perdita, saranno le future generazioni, perché le stiamo educando all’essere cattivi e spietati, guardando alle diversità non come una ricchezza ma come un fattore negativo che deve essere fuori dai nostri schemi mentali e fuori dalla nostra vita. Come guardiamo i migranti per strada? Come li trattiamo?
La canzone dà l’esatta rappresentazione dell’approccio collettivo nei confronti dei potenti o ritenuti tali, un approccio da zerbini. È sempre facile fare i forti con i deboli per poi calare la testa verso chi si ritiene potente e dimostrare becera servilità, quasi ad aspettare o ambire ad un tornaconto personale.
“…..Ognun per sé, Dio per sé mani che si stringono tra i banchi delle chiese alla domenica, mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano altrimenti le altre mani chissà cosa pensano, si scandalizzano, mani che poi firman petizioni per lo sgombero, mani lisce come olio di ricino, mani che brandiscon manganelli, che farciscono gioielli, che si alzano alle spalle dei fratelli…….Che vorrebbero dar fuoco ad ogni zingara, ma l’unica che accendono è quella che da loro l’elemosina ogni sera, quando mi nascondo sulla faccia oscura della loro luna nera……”
La denuncia in tutto il testo di questa bellissima e attualissima (anche se ha 24 anni), canzone e il sottoporre all’ascoltatore l’ipocrisia regnante e pregnante, quel finto perbenismo di facciata, ecco, il benpensante, il fai come dico io ma non fare come faccio IO; motivo per cui ognuno deve tirare l’acqua al proprio mulino, motivo per cui dobbiamo tollerare ed accettare di vivere in una città dominata dalla mafia e dal tirare a campare, dall’espediente e dal voto l’amico perché poi magari se l’amico diventa potente mi agevola e posso andare in quel posto a chi magari ha più diritto di me, ma mi spiace per lui non ha amicizie influenti.
“……..Sono intorno a me, ma non parlano con me, sono come me, ma si sentono meglio…….”
Questo il ritornello della canzone: qui ritorna il concetto di ipocrisia, il voler e di isolare il diverso, sia un migrante o sia un LGBT o sia un cittadino considerato inferiore e non degno di parola.
Ovviamente questa canzone è di 24 anni fa e per fortuna non tutti i cittadini di questo Paese sono così, ma forse, se siamo combinati così, i non benpensanti sono ancora troppo pochi e fanno/facciamo ancora poco per arginare i tanti benpensanti.
Penso, tornando alla nostra Città, che un po’ tutti abbiamo responsabilità se le cose non vanno come dovrebbero, forse crediamo poco nel cambiamento? o forse ci hanno persuaso che doveva necessariamente andare così? Io penso che ci siamo cullati, che abbiamo fatto andare avanti le cose disinteressandoci e che quindi la responsabilità è anche nostra e non solo della Politica o delle forze oscure che comandano la società.
Se a Foggia, molti, pagano il pizzo alla mafia, o sono vittima di bombe ed atti intimidatori, il problema non è solo di chi paga o è vittima o delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine; penso che il problema riguardi tutti noi. Ben vengano anche film di validi registi locali che raccontano questa condizione come “L’UOMO VERTICALE” perché abbiamo bisogno di tanti uomini verticali, che non girano la testa dall’altro lato.
Ed abbiamo anche bisogno di non girare la testa dall’altro lato, quando vediamo gente bisognosa per strada che ci tende la mano chiedendo aiuto; ed abbiamo bisogno di guardare negli occhi le tante cose che purtroppo non vanno in questa città; abbiamo bisogno di una città a misura d’uomo dove al verde pubblico deve corrispondere realmente un’area verde, curata e salubre invece di sterpaglie con due alberi rinsecchiti; abbiamo bisogno di strade che siano degne di questo nome e non di crateri stradali e marciapiedi dissestati dove il pedone debba fare slalom fra tratti dissestati e escrementi. Abbiamo bisogno di una città che offra lavoro vero e degno, non chi proponga paghe inaccettabili e se ti sta bene è così altrimenti ne trovo altri 10 disponibili a venire.
Ed allora dico ai sostenitori dell’inutilità del reddito di cittadinanza, a chi crede che la gente ha preferito prendere questo ammortizzatore sociale piuttosto che andare a lavorare, che di fronte a certe proposte piuttosto che essere sottopagati molti preferiscono non dare il loro sangue ed il loro sudore. In questa città è molto frequente la prassi della busta paga fittizia, ossia la busta paga è perfetta e ci sono tutti i diritti contrattuali, ma poi cosa succede? qual’è la realtà? la realtà è che quella busta paga o è tarata su quello che si pattuisce, oppure prevede un portare indietro soldi liquidi (non tracciabili), la differenza tra quanto c’è in busta e quello pattuito. E come è pensabile allora considerare che il reddito di cittadinanza sia un palliativo all’occupazione; è un palliativo all’essere sfruttati e sottopagati e non all’occupazione. Penso che se ad un percettore di Rdc si offre un lavoro giustamente remunerato, lo stesso accetta senza battere ciglio, perché significa reddito, contributi, assicurazione e futuro. Molto probabilmente il problema non è il reddito di cittadinanza (RdC) ma l’offerta di lavoro ed anche l’assenza pressoché totale di politiche attive per il lavoro.
Spero che si rifletta su chi siamo e cosa stiamo diventando, e quale eredità sociale lasceremo a chi verrà dopo di noi. Spero che possa nascere una nuova idea di massa e che si ritorni ad essere attivi e partecipi, costruendo una vera società migliore. Spero che Foggia e i foggiani alzino la schiena e rinascono nell’uomo verticale, guardando negli occhi i problemi e provando a risolverli con la forza del Noi.
Qualcuno anni fa (il 28 agosto 1963-Martin Luther King) diceva “I have a dream” io ho un sogno. Il mio è vedere rifiorire questa città.
A cura di Daniele Calamita